mercoledì 18 giugno 2014

Un nuovo gioco

Si spostò di lato. Poi cercò di nascondersi. Provò anche a chiuderla fuori dalla sua stanza. Continuava ad inseguirla. Una compagnia inaspettata. Alzò la manina e, timidamente, cominciò a salutarla. Le ricambiava il saluto. Alcune prove come se fosse dinanzi ad uno specchio. Di solito era lei ad imitare smorfie e movenze della sorella maggiore. Ora aveva a che fare con un'emula perfetta, una sosia senza volto. E incombente. Più Agnese si allontanava da lei, più grande e invadente era la sua presenza. Una lanciava la sfida con un gesto della mano, un salto o un improvvisa torsione del corpo. L'altra, senza mai distrazioni, ripeteva, perfettamente sincronizzata.  Trovarono un compromesso. Avrebbero giocato a debita distanza e ognuna per conto proprio. Ma non era divertente. Allora, Agnese si alzò e comincio a correre rasente alle pareti della cameretta e lasciò che, a lungo, la compagna le si affiancasse. Non ci fu, tra le due, una più veloce dell'altra. Stanca e sfinita dal gioco, si accoccolò tra le braccia della mamma. Poi, il sole tramontò e, da subito, cominciò ad avere nostalgia della sua ombra.

lunedì 16 giugno 2014

Una notte per la risposta

Ho dormito male stanotte. In realtà, non ho chiuso occhio. Prima su un fianco e poi sull'altro, ho cercato a lungo la posizione migliore. Poi ho rigirato, più volte, il cuscino per poggiare la faccia dalla parte più fresca della federa. Non è stato solo per il caldo delle prime notti con temperatura estiva. Ha continuato a ronzarmi nella testa la domanda che Marta mi ha fatto ieri sera, dopo averla aiutata a lavarsi, ad infilarsi il pigiama e averla messa a letto. Ha lasciato che le finissi di leggere la storia della buonanotte, come se avesse, volutamente, atteso l'ultimo minuto utile per evitare che le avessi potuto rispondere subito e darmi la possibilità di dormirci su. Dormire, per modo di dire. La consueta preparazione notturna del latte ad Agnese non mi ha affatto distratto. Mi sono di nuovo coricato con lo stesso tarlo. Mi ha colto di sorpresa, mi ha costretto a guardare alla cosa dal suo punto di vista. Non sono certo uno di quelli convinto di avere tutte le risposte e mi sono sempre detto che, se non le avessi avute, con lei non avrei finto. Mi sarei dichiarato inconsapevole e le avrei chiesto di aiutarmi a cercarla, la risposta. Ieri sera, ho dovuto incassare una di quelle provocazioni alla quale non potevo darmi per vinto. Non potevo non saper rispondere, dopo tutto. Dopo le notti insonni dei suoi primi mesi, passate a vegliarla. Dopo aver provato a consolare i suoi pianti. Dopo averla presa per mano e aiutata a compiere i primi passi. Dopo che ho lasciato che sperimentasse il distacco dai suoi genitori, tra le braccia delle dade del nido. Dopo che, ai primi dispiaceri e alle prime frustrazioni, l'ho rassicurata, promettendole che le sarei stato sempre accanto. Dopo tutto questo, non le ho saputo rispondere. Poi stamattina, mi sono alzato e sono andato a svegliarla con un bacio. Ed è stato come se, improvvisamente, non fosse più stato necessario trovare la risposta. E voi che dite? A che serve un papà?

giovedì 22 maggio 2014

Alla guida...

Salgo in auto. L'ultima volta, è stata usata da mia moglie. Devo allontanare il sedile dal volante. Nel sistemare lo specchietto retrovisore, mi sorprendo per la visuale completamente libera. Solitamente, con i due seggiolini porta bimbi, non mi resta che accontentarmi di un cono visivo più stretto di quello del gelato a tre gusti che, ora, trovo spiaccicato sulla tappezzeria posteriore. Già alla guida, mi allaccio la cintura. E questa volta senza che Marta me lo ricordi e senza che io, per giustificarmi del cattivo esempio, faccia finta di essermene dimenticato. Il viaggio è lungo. Accendo la radio e parte il cd con le canzoncine dello Zecchino d'Oro, ora ereditate da Agnese ma che ci tormentano sin dai tempi della primogenita. Spengo e, per reazione, non mi cimento nemmeno, nella sintonizzazione di un canale radio. Tanto si sa, in viaggio non c'è segnale che tenga. Squilla il cellulare. Apro il cassetto del cruscotto per tirar fuori l'auricolare ma immergo la mano in un liquido melmoso. Non si distingue più se si tratta dell'ultimo succo di frutta rifiutato da Agnese o dello yogurt lasciato a metà da Marta prima di entrare, in ritardo, a scuola. Il viaggio prosegue. Il sole picchia sull'autostrada e sento le gomme usate per l'inverno incollarsi sull'asfalto. Devo ricordarmi di fare il cambio e montare quelle estive. Si devo proprio farlo, se voglio viaggiare in sicurezza con le mie cucciole.

lunedì 5 maggio 2014

In viaggio con le frecce

"Chi viaggia con le frecce, viaggia con il massimo confort". Così ci accoglie il treno su cui siamo saliti per le nostre vacanze di Pasqua. Agnese non se lo fa ripetere due volte e si mette a suo agio, occupando interamente il posto che non le spetta.
Marta si siede accanto al finestrino e mi chiede se da qualche parte c'è un indiano che le scaglia con il suo arco lungo i binari. La mamma occupa il terzo posto e a me tocca stare in piedi in fondo alla carrozza, a guardia delle valige raddoppiate rispetto alla partenza (e non certo per clonazione spontanea).
"Sei socio carta freccia?", irrompe lo speaker nel sonno di Agnese che si era appena appisolata. Se mai ci avessi pensato, dopo una così tempestiva azione di marketing se la possono sognare la mia fidelizzazione.
"In prima, si ha diritto ad un welcome drink", recita il nostro loquace accompagnatore. A noi, come benvenuto, sarebbe stato sufficiente un biberon di latte ma credo che, in standard, non sia previsto n'è l'uno nell'altro.
La freccia viaggia veloce con un leggero dondolio che stimola l'intestino della più piccola. "Vado a sgranchirmi un po' le gambe", dice l'ottantenne seduto accanto ad Agnese. E come lui, pian piano, vedo i nostri vicini di posto allontanarsi con le più improbabili della giustificazioni. L’unico rimedio per evitare l’evacuazione totale del treno è il “cambio al volo” del pannolino, utilizzando il bagno della vettura dalle dimensioni notoriamente anguste, qualunque sia la categoria della carrozza. Anche se a 300 km/h, è per me un gioco da ragazzi, una pratica che, ormai da tempo, eseguo con destrezza e perfetto senso di equilibrio.
"Con i nostri treni si viaggia di gusto", insiste la voce che ormai scandisce tutti i momenti della permanenza in carrozza. Mi viene da pensare che sembra di essere in un villaggio turistico dove se uno ha voglia di starsene per fatti suoi e decidere di fare quello che gli pare, quando gli pare, deve chiudersi in bagno. Nel nostro caso, tale soluzione  non è del tutto raccomandabile dopo l’intervento di decontaminazione portato a termine. Inoltre, non capisco se, parlando di gusto, si riferisce agli snack proposti dal personale di bordo o piuttosto alla voracità di Marta che, chissà perché, quando viaggia divorerebbe di tutto, a cominciare dagli omogeneizzati della sorella.
"Grazie per aver viaggiato con Trenitalia", dice alla fine del viaggio, la voce gracchiante dello speaker. Si ma la prossima volta dite all'indiano di scagliare la freccia con più forza. Magari si fa prima ad arrivare!

venerdì 2 maggio 2014

Una sera all’insegna del thriller

Dopo cena, alcuni minuti di silenzio sospetto furono sufficienti a far scattare l'allarme rosso. "Dove è la bambina?". "Non lo so, pensavo fosse…". M. non mi lasciò il tempo di concludere e, con tono concitato, passò oltre. "Marta, Agnese sta giocando con te?". "No mamma, io sto disegnando e non l'ho vista". A quel punto, l'accelerazione del battito cardiaco e la sudorazione, prevalsero sulla lucidità. Si delinearono tre possibili drammatici scenari. M. assunse la regia delle operazioni di soccorso e intestò a se il coordinamento strategico. "Vai a vedere se si è chiusa nell'armadio della sua cameretta”, mi disse con tono minaccioso. “Marta, corri in bagno e controlla se si sta infilando nel cesto della lavatrice". "Io faccio il giro delle finestre per controllare se sono tutte chiuse". A lei, in quanto mamma, in caso di tragedia, sarebbe toccata la pena maggiore. Fortunatamente le finestre erano tutte chiuse ma di Agnese si erano perse le tracce. Nessun ciuccio disseminato per casa che avrebbe potuto aiutarci nella ricerca come, invece, fecero in un'altra situazione, le briciole di pane per Pollicino. La scia maleodorante lasciata dalla bambina prima di un cambio di pannolino avrebbe potuto favorire il ritrovamento. Ma, ahimé, era stata appena cambiata e con grande soddisfazione per tutti gli occupanti della casa. Persino i giochi erano tutti al loro posto e l'ordine insolito non aiutava a ricostruire gli ultimi minuti prima della scomparsa. Il comandante in capo stava cedendo. Al culmine dell'agitazione, squillò il telefono. "Ciao, come stanno le bambine?". E si, perché sono le nipoti la prima (e unica) preoccupazione dei nonni quando chiamano A quel punto, le lacrime si fecero strada  sul volto di M., ormai segnato dalla disperazione. Come ogni thriller che si rispetti, il finale è a sorpresa. Ad ogni lettore il suo preferito:
1) "Papi, corri. Vieni a vedere", gridò Marta. Si era arrampicata spontaneamente sul lettone per addormentarsi, stremata. Ci siamo commossi e, vista l'ora, ne approfittammò per andare tutti a dormire.
2) Aprì gli occhi e mi svegliai dall'incubo. Sarà stata la conseguenza di tutte quelle inutili notizie che solitamente, la sera, vengono riportate dai telegiornali sulla scomparsa dei bambini? Rivalutai, allora, le serate trascorse in compagnia di Peppa Pig.
3) Contando sulla complicità della sorella, era in bagno, impegnata a tirar fuori dalla lavatrice il bucato. E a me, nottetempo, toccò di raccogliere tutto e andare a stendere il bucato.

sabato 26 aprile 2014

Una singolar tenzone

Come se non bastasse quella di tutti i giorni con Agnese e Marta, dabimboamamma" (http://dabimboamamma.wordpress.com/) mi ha lanciato una sfida a colpi di poesia.
Le regole della tenzone consentono un massimo 24 ore da quanto si riceve la comunicazione per pubblicare una poesia e per indicare altri 5 blog che si desidera sfidare.
Seppur non nel tempo indicato, pubblico una poesia, piccola ma importante, di Gianni Rodari.
Il messaggio della "Lettera ai bambini" è chiaro e credo che più che ai bambini di oggi sia un invito ai bambini di ieri o a quelli di domani.

Lettera ai bambini
É difficile fare
le cose difficili:
parlare al sordo,
mostrare la rosa al cieco.
Bambini, imparate
a fare le cose difficili:
dare la mano al cieco,
cantare per il sordo,
liberare gli schiavi
che si credono liberi.

Ora lancio la sfida a: UnaMammaComeTante (www.unamammacometante.com), Lilia (@lili_lor), lefestediemma (www.lefestediemma.com/shop), Daniele Fratangeli (@superPapino), Sarei Pigra (www.sareipigra.wordpress.com).

venerdì 11 aprile 2014

Il rientro a casa

"Ciao, sono qui....". Non mi aspettavo certo fanfare all'arrivo o tappeti rossi sulle scale d'ingresso ma che almeno mi si rispondesse al saluto. Anche solo per buona educazione. "Eccoti, prendi un po' la piccola che oggi è davvero intrattabile", e' stata la prima comunicazione moglie-marito. "Si, si certo", rispondo schiacciato dal senso di colpa per la lunga assenza. Non è più come ai tempi in cui un papà barattava la scarsa collaborazione domestica con l'assolvimento indefesso degli impegni di lavoro. Oggi, il rientro prevede un percorso di espiazione nel corso del quale assolvere alle seguenti mansioni: cambiare il pannolino ad Agnese un numero di volte direttamente proporzionale ai giorni di lontananza, occuparsi per la settimana successiva di fare le lavatrici e stendere il bucato, trascorrere almeno un pomeriggio intero presso il centro commerciale più grande della zona. Così e' confidando nella clemenza della corte. "Marta, dove sei? Che ne dici di venire a salutare papà?", è di solito la formula successiva. La risposta spesso tarda ad arrivare. Va già bene se a contendermi l'attenzione è l'amichetta di scuola con cui è impegnata nella sua camera per un pomeriggio di giochi e non è, invece, l'ennesima puntata di Peppa Pig trasmessa alla tv a quell'ora. "Ecco, finalmente sei tornato!", è il gelido saluto della nonna che telefona, quando ancora sono sull'uscio di casa, per l'ennesimo monitoraggio della sicurezza delle nipoti, abbandonate dal padre irresponsabile. Alla penultima fermata del treno, mentre sta per terminare il viaggio di ritorno inizio a pensare all'accoglienza che mi aspetta al rientro a casa. E nonostante tutto, sono felice.

lunedì 7 aprile 2014

Il richiamo tra i cieli...

Si era appena addormentata. Le lancette della sveglia, che al mattino le ricordavano l'appuntamento con la scuola, cominciarono a girare all'incontrario. In pochi secondi, i suoi quasi sei anni si riavvolsero intorno al nastro della vita e Marta si ritrovò nello stesso punto da dove era partita.
Tra le nuvole, quello è il luogo deputato ai richiami. Non ci fu il tempo per leggere il dispositivo di insediamento previsto dalla procedura. Marta era arrivata tardi a causa del racconto pre-nanna che il papà aveva prolungato oltre il solito, incuriosito (lui più della figlia) dal dispiegarsi degli eventi della storia. "Se avessi saputo, per farlo smettere, come faccio a volte, avrei finto di addormentarmi piuttosto che compiacerlo", cercò di giustificarsi. "Non importa, passiamo all'analisi del caso", disse il "Presidente" con il distacco richiesto dall'ufficialità dell'occasione, nonostante fosse passato molto tempo dal loro ultimo incontro.
Tutti i presenti, Marta compresa, erano consapevoli di quanto stava accadendo. Era stato necessario riportarla alla condizione precedente alla nascita per incontrarla e poter "esaminare" il suo stato di bambina. Solo così sarebbe stato possibile farlo senza contravvenire alla regola che una volta perse le ali non si può più tornare indietro. Il "richiamo", infatti, è uno dei modi con cui la "Commissione" segue gli angeli lasciati cadere sulla terra e li sostiene nell'affrontare i momenti più impegnativi della loro esperienza tra gli umani.
Cominciò il più anziano: "Ti osserviamo e apprezziamo la determinazione con cui stai portando avanti la missione che ti è stata affidata. Negli ultimi mesi, però, sei molto agitata, capricciosa e volubile. Cosa ti turba?". Marta, confusa, si muoveva a disagio al centro dell'arena. Indossare le ali non era più naturale come un tempo. Si guardò intorno alla ricerca, tra i tanti presenti, di un cenno di incoraggiamento. Lo trovò nello sguardo dolce di un piccolo angelo che le sorrise.
Era proprio il momento di essere sincera e confidare quello che le sembrava fosse impossibile dire ai propri genitori. E lo fece con la consapevolezza che solo la ritrovata dimensione angelica poteva consentirle: "Ho paura di aver perso l'amore di mamma e papà". Poi argomentò: "Non hanno più tempo per me e le loro attenzioni sono volte ad altro". Sulle motivazioni di tanta distrazione sapeva di essere stata reticente e si meravigliò che non le fu chiesto altro.
Fu aperto il dibattito nel corso del quale ogni angelo presente intervenne per dire la sua e dare un consiglio all'esaminanda. Dopo aver chiesto il permesso, tra gli altri, intervenne anche quell'angioletto che le aveva sorriso ma lo fece per condividere con l’assemblea l’eccitazione dovuta al fatto che la sua "attesa" stava per finire. "Mi hanno chiamata e mi hanno detto di tenermi pronta", disse. "Tra poco, dovrò mettermi in fila al varco d'uscita per raggiungere mia sorella maggiore". Poi con orgoglio, aggiunse: "Mi è stato detto che si tratta di una bimba molto in gamba che mi proteggerà e mi guiderà nel corso della vita". Non sapeva perché ma, ora, Marta si sentiva serena e libera da quel peso che aveva motivato il suo "richiamo".
"Adesso puoi andare", disse improvvisamente il più giovane della Commissione, tradendo l'emozione per quello che poteva essere l'addio definitivo a quella bambina a cui, nonostante i modi burberi, erano legati da profondo affetto. "Ti lasciamo tornare al tuo futuro", sentenziò.
Senza che neanche la sveglia suonasse, Marta apri gli occhi e si ricordò della sua ascesa tra le nuvole, dell'arena, della Commissione e di quell'angioletto in cui aveva riconosciuto quella che poi sarebbe diventata sua sorella Agnese. In quello stesso istante, restò accecata dalla luce del sole che entrava dalla finestra della sua cameretta e quelle immagini, fino ad allora così nitide, repentinamente scomparvero.
Marta capi che si era trattato di un sogno, solo di uno strano sogno. Forse.

giovedì 3 aprile 2014

Democrazia partecipata

In previsione dell'arrivo del bel tempo, occorreva decidere i turni per le uscite nel giardino e come dividere gli spazi all'aperto. Con quell'assemblea, le maestre vollero fare un esperimento di "democrazia partecipata". Spiegarlo ai bambini, far loro capire l'importanza di quanto si accingevano a fare, però, fu difficile. "Maestra, mi ha detto papà che è semplice decidere. Gioca in giardino chi arriva prima", disse uno dei bimbi. Un altro protesto: "Il giardino è di tutti…". Alla premessa che faceva ben sperare aggiunse: "…quelli che hanno la classe che affaccia direttamente sul prato ", rivendicando una sorta di continuità territoriale. Anche Marta volle esprimere la sua. Si alzò dallo scranno su cui era seduta, andò a sistemarsi davanti ai compagni disposti ad emiciclo e disse: "A casa quando si tratta di decidere qualcosa ci pensa papà e poi si fa come dice mamma". Dopo una breve replica delle maestre, la parola passò al dado Marco, addetto a sorvegliare il gioco all'aperto. Con un'ampia consultazione, aveva raccolto il parere di tutti (bambini, maestre e assistenti) e aveva elaborato, componendo tutte le istanze, un decalogo per l'uso comune del giardino. Alla base della proposta, turni giornalieri organizzati prendendo in considerazione attività e esigenze delle singole sezioni. Il dado, però, non ottenne il consenso sperato. Alla sua destra, si alzò un bambino della sezione dei più grandi e sostenne la necessità di lasciare tutto com'era. "Tocca a noi grandi usare di più il giardino. Gli altri, possono uscire quando siamo a mensa o disegniamo in classe". "Si deve assolutamente cambiare", dissero all'unisono i bambini schierati alla sinistra dell'emiciclo. "Avete una proposta alternativa?", chiese Marco. Tante furono le voci che provarono a dare una risposta ma ciascun intervento contraddiceva quello precedente. Improvvisamente, alcuni bambini della sezione dei più piccoli, quelli arrivati quello stesso anno, entrarono minacciosi nel salone e, imprecando contro tutto i presenti, si proposero come portavoce di quanti volevano un rinnovamento radicale del sistema. Le maestre cercavano di riportare la calma ma inutilmente. Era, ormai, l'orario di uscita e si decise di sospendere la riunione. Tutti tornarono a casa (come auspicato nella protesta degli ultimi intervenuti) ma senza che nulla fosse stato deciso.

venerdì 28 marzo 2014

Un dipinto surreale...

"Papi, ti piace?". Con un po' di esitazione rispondo: "Si Marta, un disegno insolito". Analizziamo insieme il dipinto. Oggetto della composizione  è, evidentemente, quella di due innamorati, seduti su uno scoglio in mare aperto. Alcuni elementi si rifanno alla iconografia classica: cuori palpitanti, onde burrascose e cielo tempestoso. La tecnica e' quella del pennarello su carta riciclata. Il tratto deciso e', a volte, discontinuo. I colori sovrapposti per raffigurare il mare lasciano intravedere una mano sopravvenuta a quella dell'artista. Alcuni studiosi, parlano dell'intervento di un discepolo del maestro (tale Agnese da Bologna) più volte cacciata dalla bottega ma poi prontamente ripresa per ordine della Corporazione dei piccoli pittori. L'opera però mostra alcuni elementi surreali che attraggono la curiosità dell'osservatore. "Marta, cosa ci fa un tavolino volante con sopra un uovo schiuso da cui sta per uscire un pulcino?". "Ma no Papi, e' una nota. E' la musica del loro amore, da cui sorge un sole giallo e caldo". "Marta, ma chi sono i due innamorati?". "Papi, ma non capisci?. Sono la Sirena e il Sireno". Non ho più dubbi. "Marta, sei un genio!".

giovedì 20 marzo 2014

La fiaba delle fiabe

Marta, tutte le sere, scivola tra le lenzuola del suo lettino. Il papà le rimbocca le coperte e le si avvicina per darle il bacio della buonanotte. "Papi, raccontami una fiaba" – chiede – abituata ad addormentarsi accompagnata da un racconto ogni sera diverso.
Chiunque sia stato o sia papà, sa quanto sia difficile riuscire a inventarsi una fiaba che si possa raccontare in quel magico momento della nanna. Una fiaba che nessuno sa quanto possa durare e che, comunque, dovrà terminare prima del sonno.
Attraverso la finestra, la luce riflessa della luna si proietta sulla parete bianca della cameretta. E’ tutto pronto perché, sul grande schermo della fantasia, possano cominciare a scorrere le scene della fiaba delle fiabe.
La prima cosa da fare è scegliere i personaggi. Che sia un animale del bosco oppure una fata, una bambina dalle rosse trecce o una stella del cielo, è necessario che all’inizio venga dichiarato chi è il protagonista.
Ma dove abita la bambina? E nel bosco c’è una grande quercia o un laghetto incantato? La fata dimora sulle cime dei monti oppure tra i ghiacci dell’Antartide? La stella si sa, durante la notte sta in cielo. Ma quando arriva il sole, dove è che va? Ogni volta, il papà deve decidere il luogo in cui far svolgere la fiaba.
E, poi, c’è la trama. Non può esistere una storia senza che qualcosa accada. La volpe che vuole arrivare, senza riuscirci, a prendere il grappolo d’uva dagli altri tralicci della vite non è proprio la più nuova delle favole. Ecco allora che la fantasia viene in aiuto al povero narratore.
Una sera, la bimba dalle trecce rosse decide di intraprendere un avventuroso viaggio a cavallo di una stella, quella più luminosa tra le tante della volta celeste. Un’altra sera, il coniglio incontra il ranocchio e, insieme, giocano a tirare sassi nel laghetto che, essendo incantato, si trasforma, improvvisamente, in un piccolo ghiacciaio. In un altro racconto, la fata, stufa del freddo del polo sud, si trasferisce nel bosco e, con l’aiuto della bimba con le trecce rosse, costruisce una casetta di legno sulla cima della grande quercia.
Non resta che trovare il giusto finale. Uno come questo, ad esempio. La pietra lanciata nel lago dal coniglio scivola sul ghiaccio, rimbalza sul tronco della quercia e schizza in cielo dove, colpendola, manda in frantumi la stella. Con tocco di bacchetta e polvere di stelle, la fata tramuta la casetta sull’albero nel più grande dei castelli del regno e, lì, vivrà per sempre con il ranocchio trasformato in un bellissimo principe. La bimba dalle rosse trecce lascerà il bosco e andrà a stare tra i ghiacci polari del sud del mondo, dove, crescendo, prenderà il posto della fata.
Ma ogni volta che la storia sembra terminata e pronta per essere raccontata, Marta chiude gli occhi e si addormenta. Al papà non resta che cominciare a inventarne una nuova per il giorno dopo, così da essere pronto e riuscire a raccontarla prima che la sua bambina si addormenti.

mercoledì 5 febbraio 2014

D...istanze on line

"Silenzio. Accendi la luce e non fare rumore. Non vuoi certo che i vicini se ne accorgano. Anche loro hanno una bimba della stessa età di Marta". Da pochi minuti era passata la mezzanotte. Per tutto il tempo, eravamo rimasti sdraiati a letto con gli occhi sbarrati in attesa che giungesse l'ora propizia per provarci a "rete" libera. Quando ci sembrò che fosse il momento giusto, in punta di piedi, raggiungemmo lo studio, accendemmo il pc e iniziammo a "smanettare" sulla tastiera, illuminata soltanto dalla piccola lampada della scrivania. Nulla doveva tradire le nostre intenzioni. Nottetempo, saremmo riusciti a cogliere di sorpresa tutti, compresi i vicini che fingevano indifferenza e noncuranza per l'imminente scadenza ma erano ogni giorno più nervosi e agitati.
Tutto era cominciato con la messa on line da parte del MIUR del sistema nazionale informatizzato per l'iscrizione alla scuola elementare. Ormai, tra noi genitori dei bimbi della materna, non si parlava d'altro. "Ma tu ci sei riuscito? Come hai fatto a indicare il comune di residenza? Si è aperto il menù a tendina per selezionare la scuola di preferenza?", erano le domande che maggiormente inquietavano coloro che avevano provato. Alcune voci anonime davano conto del fatto che solo uno sparuto gruppo in città era già riuscito a concludere l'infernale procedura. Ovunque si formavano capannelli di mamme e papà che si confrontavano sulle soluzioni tecniche con cui riuscire a superare le varie fasi della registrazione e le possibili contromisure alla perdita dei dati che, inevitabilmente, avveniva quando tutto sembrava fatto, per un'improvvisa chiusura della pagina web. E se qualcuno restava in disparte, rischiava di essere additato come uno dei pochi privilegiati ed essere sequestrato e torturato, fino che non avesse rivelato di avere qualche parente al Ministero e il trucco per avere la meglio sul sistema. Ingenuamente, M. ed io, avevamo pensato di approfittare della notte per evitare il traffico della rete e avere maggiori possibilità di successo. L'unico risultato che ottenemmo fu quello di svegliare Agnese e di trascorrere l'ennesima notte insonne, a rimpiangere i tempi in cui i nostri genitori avevano poco da scegliere. Alla loro epoca, non c'era bisogno di affannarsi tra un "open day" e l'altro. Per avete informazioni di prima mano, bastava chiedere al bidello di turno che conosceva vita, morte e miracoli delle maestre. Non esisteva la scuola "a tempo pieno". Di pieno c'erano solo le classi e fin troppo. E per iscriversi, tuttalpiù, veniva richiesto di compilare un modulo da consegnare in segreteria, dove a riceverlo, di solito, era un'anziana "signorina".

lunedì 3 febbraio 2014

Coccole al risveglio

Le prime luci, le più pigre, erano ancora basse all'orizzonte ma nel dormiveglia, quella mattina, avvertivo, più chiaramente del solito, tutte le moine che, ormai da un anno, accompagnavano gli albori di ogni nuovo e improcrastinabile giorno. Borbottii, grugniti e un piagnucolio lungo e insistente eseguito secondo la migliore tradizione delle nenie cantate nell'antichità. Non solo. Piccole ma tenaci dita solcavano il volto passando dalla bocca alle orecchie, non senza una rapida e dolorosa incursione nelle narici. Aprì faticosamente l'occhio sinistro (l'altro rimase socchiuso, schiacciato com'era sul cuscino) e me la trovai, faccia a faccia, con i suoi grandi occhioni aperti come fari nel buio di una notte, a cui stavo disperatamente cercando di rimanere aggrappato. Nonostante tutto, però, non potei non cogliere la tenerezza insita in quel suo cercarmi. Non le resistetti. Mi sollevai dal cuscino e, appoggiandomi allo schienale del letto, presi Agnese in braccio. La guardai sorridere appagata e poi mi volsi all'altro lato del letto per condividere con M. la soddisfazione di un così intimo rapporto tra padre e figlia. Allora, viddi che la mamma, esausta e stremata per la notte trascorsa insonne, le aveva girato le spalle e cercava di utilizzare al meglio quegli ultimi minuti di ristoro. A quel punto realizzai. Ero stato vittima di una scenata di gelosia. Si era trattato del più classico degli adescamenti realizzati solo come ripicca ad un imperdonabile tradimento.